Secondo molti osservatori, le politiche monetarie
estremamente accomodanti e non ortodosse di questi giorni altro non sarebbero
se non vere e proprie guerre valutarie sotto copertura, molto simili a quelle
messe in atto negli anni Trenta.
Una posizione rispetto alla quale il capo
economista di Mig Bank Luciano Jannelli, non si trova d'accordo per una serie
di ragioni. "Primo - afferma - perché, se l'obiettivo fosse il
deprezzamento del valore nominale di tali monete si potrebbe facilmente
concludere che saremmo di fronte a un insuccesso".
In secondo luogo,
prosegue l'esperto, "perché tipicamente le guerre valutarie portano alla
distruzione dei rapporti commerciali e della produzione. Come vediamo, invece,
la situazione attuale è molto diversa".
Ma per Jannelli l'aspetto forse più interessante da
portare all'attenzione è che "probabilmente nel corso del prossimo anno
potremmo assistere all'inversione di marcia di un declino quarantennale del
dollaro Usa nei confronti delle principali monete".
Secondo l'esperto,
"per quanto nel lungo periodo ci siano indubbiamente degli effetti tra il
tasso di cambio e la bilancia commerciale dei singoli paesi, nel periodo
immediatamente successivo di uno shock enorme sulla domanda aggregata avrebbe
probabilmente più senso guardare direttamente alla spesa che non agli effetti immediati
sui prezzi.
Ecco perché, dal mio punto di vista, per quanto riguarda gli Usa il
miglioramento del trade balance ha più a che fare con la riduzione della
domanda che non con (l'inesistente) deprezzamento dell'USD (infatti la
riduzione del deficit di bilancio è andata di pari passo con l'incremento dei
risparmi)".
Jannelli, che sul biglietto verde è stato ribassista negli
ultimi dieci anni, ora ha deciso di cambiare la propria view: "Per quanto,
nel breve termine, potremmo assistere a un ulteriore apprezzamento delle monete
a maggior rendimento come l'euro (specialmente se il quadro macroeconomico
dovesse continuare a migliorare), ritengo che a un certo punto il rimpatrio di
alcune attività manifatturiere verso gli Usa e la rivoluzione nell'industria
dell'energia potrebbero rappresentare dei segnali di sostenibilità a lungo
termine della crescita dei risparmi.
E molto probabilmente a determinare questa
reazione sarà ancora una volta l'azione della Fed".
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