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Guerra delle valute asiatiche. E' la Cina che manipola?



Mike Riddell, gestore del fondo M&G Emerging Markets Bond, torna sulla guerra sulle valute asiatiche, domandandosi se è la Cina il reale "manipolatore". "Dopo la crisi finanziaria che colpì l’Asia nel 1997 - fa notare Riddell - le economie della regione hanno in genere adottato politiche volte a mantenere le valute artificialmente basse, per favorire una crescita trainata dalle esportazioni. Col tempo le autorità hanno subito pressioni sempre maggiori, soprattutto da parte degli Usa, a favore di un apprezzamento". Tuttavia, ora che l’Asia dipende fortemente dall’export, questo modello economico non è più valido. "Le economie basate sull’esportazione - tira le somme il gestore di M&G - si contendono quindi una domanda sempre più esigua, o per lo meno stabile".

Ecco che allora scoppia la guerra delle valute. "La svalutazione attuata dalla Cina nel 1994 - osserva Riddell - viene spesso citata tra i fattori scatenanti della crisi finanziaria del 1997. Considerato che per molti Paesi asiatici il Giappone è oggi un partner commerciale più importante di quanto non fosse la Cina nel 1993, una forte svalutazione dello yen non potrebbe avere effetti altrettanto devastanti sulla regione? In febbraio le esportazioni cinesi sono cresciute all’eccezionale tasso annuo del 21,8%; tuttavia - conclude l'esperto di M&G - sarà interessante scoprire se tale ritmo è sostenibile, se altri Paesi della regione possono risollevare un export in declino e, in caso contrario, che cosa intendono fare governi e banche centrali locali".


L’euro inizia in arretramento la settimana sul mercato dei cambi



Primo giorno della settimana all'insegna della debolezza per l'euro sui mercati dei cambi. In mattinata, la moneta unica viaggiava infatti sotto quota 1,36 nei confronti del dollari e in generale in tarda mattinata quotava sui minimi intraday sia verso sterlina, sia verso yen e franco svizzero.

Nel consueto studio di inizio settimana sui mercati finanziaria, chiamato "Macromonitor", l'economista di Monte dei Paschi di Siena, Mario Seminerio, scrive: "Sul mercato dei cambi, i movimenti sono stati condizionati da timori di movimenti rialzisti globali sui tassi d'interesse.

L'euro si è quindi rafforzato sul dollaro e lo yen si è indebolito, come accadrebbe di solito in circostanze di ridotta avversione al rischio e prospettive di crescita accresciute o percepite come tali. Considerazioni analoghe valgono anche per quasi tutte le valute dei paesi produttori di materie prime, al netto di fattori locali che hanno impedito gli esiti previsti. 

Le valute emergenti asiatiche (won sudcoreano, dollaro di Singapore e yuan cinese), ad esempio - prosegue l'economista di Mps Seminerio - si sono indebolite anziché apprezzarsi contro dollaro, probabilmente a causa della forte debolezza dello yen, che rischia di innescare un indebolimento dell´export globale di tali paesi e quindi di spingerli (come extrema ratio, e nella percezione del mercato) a manovre equivalenti sul proprio cambio, anche se al momento non vi sono evidenze che ciò possa accadere".

Secondo gli esperti di Cmc Markets, "qualora l'euro dovesse ulteriormente rafforzarsi nei confronti delle principali monete (e in particolare contro dollaro) occorrerà monitorare con attenzione ciò che potrebbe succedere nel corso della riunione della Bce questa settimana riguardo alle richieste provenienti da più parti di una riduzione dei tassi. 

Pur tuttavia, nonostante il calo dell'inflazione ai minimi degli ultimi due anni, una sforbiciata del costo del denaro sembra altamente improbabile se ricordiamo i toni utilizzati da Draghi in occasione dell'ultima conferenza stampa, il che indirettamente potrebbe confermare che l'euro è pronto per nuovi guadagni, a tutto discapito delle deboli economie periferiche".