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Schroders: gli investitori temono una ripresa dell’inflazione



Gli investitori guardano alle mosse, soprattutto sui tassi di interesse, della Banca centrale europea (Bce) e hanno paura dello spettro dell'inflazione. È quanto emerge dal sondaggio condotto da Schroders nel corso dell’ultima Investment Conference, che ha visto la partecipazione a Londra di oltre 125 investitori professionali provenienti da società di distribuzione di più di 30 Paesi in Europa, Medio Oriente e America Latina. Agli intervistati è stato chiesto di esprimere il proprio parere sulle differenti asset class e di commentare l’operato della Bce, ovvero se questo possa determinare uno scenario inflazionistico.

I risultati del sondaggio mostrano che il 75% dei rispondenti ritiene che gli interventi della Banca Centrale aiuteranno a far ripartire il credito bancario e a stimolare la crescita a livello globale. La maggior parte (76%) teme tuttavia che questo comporterà un aumento dell’inflazione superiore al 4% annuo entro i prossimi cinque anni. Solo il 13% ritiene che il proprio portafoglio sia sufficientemente coperto contro il rischio inflazionistico.

In questo scenario potenzialmente inflazionistico è ampiamente condivisa l’opinione (89%) che, fino alla fine del 2013, i rendimenti più elevati giungeranno dall’azionario globale: il 68% degli intervistati dichiara di essere attualmente sovrappesato in questa asset class. All’interno dell’azionario globale emerge inoltre un chiaro interesse per i titoli europei, che secondo il 58% saranno i più performanti dell’anno. Questo dato conferma il risultato già emerso nel sondaggio della precedente edizione di ottobre, dove il 41% aveva affermato che, entro la fine dell’anno, avrebbe aumentato l’esposizione all’azionario Europa nei portafogli dei propri clienti.



Il professore di Harvard Frankel invita ad abbandonare l'ossessione per l'inflazione




Sabato 22 dicembre 2012


E se cominciassimo a non dare così tanta importanza all'inflazione? 

A lanciare la proposta è il professore di Harvard Jeffrey Frankel, che in un recente articolo disponibile online (http://www.project-syndicate.org/commentary/monetary-policy-should-target-nominal-gdp-growth-by-jeffrey-frankel) ha invitato le banche centrali internazionali a riconsiderare il proprio modo di fare politica monetaria. 

Tra i suoi interlocutori ci sono, naturalmente, sia la Federal Reserve (Fed) statunitense capitanata da Ben Bernanke, sia la Banca centrale europea (Bce) guidata dall'italianissimo Mario Draghi. 

Frankel, in particolare, ritiene che i policymaker monetari in alcune aree - e il riferimento al Vecchio continente è abbastanza esplicito - dovrebbero pensare di spostarsi in direzione di un obiettivo di Prodotto interno lordo (Pil) di tipo nominale piuttosto che reale, ossia legato all’inflazione.

"Il vantaggio - spiega Frankel nell'articolo - di un Pil target nominale rispetto a un obiettivo parametrato all'inflazione è la sua robustezza, in particolare in relazione agli shock all'offerta e ai termini commerciali".
Frankel fornisce subito un esempio riferito all'Eurozona: "Con un Pil target nominale, la Bce avrebbe potuto evitare l'errore commesso nel luglio del 2008, quando, proprio mentre l'economia stava sprofondando nella recessione, ha risposto a un incremento dei prezzi petroliferi mondiali alzando i tassi di interesse di riferimento dell’area in modo da combattere l'inflazione dei prezzi al consumo". 

Quanto alla Fed, secondo Frankel, "allo stesso modo avrebbe potuto evitare l'errore di una politica monetaria eccessivamente morbida nel periodo 2004-2006, quando la crescita annua del Pil nominale superava il 6 per cento". 

Ma Frankel non prevede cambiamenti monetari traumatici: a parere del professore di Harvard, l’approccio a un target nominale di Pil dovrebbe essere graduale.